Avete letto bene. Marc Quinn non solo ha usato del sangue, ma proprio il suo, raccolto nell’arco di cinque anni. Al termine di questo periodo realizza il suo busto usandone circa 4,5 litri, che vengono versati in uno stampo di silicone. Esistono più versioni dell’opera, poiché a partire dal 1991 fino ad ancora oggi, ne realizza uno ogni cinque anni. La sequenza di busti mostra il passare del tempo e l’invecchiamento che ne deriva per l’artista. Inoltre, ha una spiegazione simbolica: fu realizzata per la prima volta quando Quinn era dipendente dall’alcol e l’intenso bisogno di connessione a qualcosa per sopravvivere è rappresentato dal sangue stesso, elemento vitale che per rimanere solido necessita di elettricità che lo mantenga congelato. Altrimenti la scultura si scioglierebbe e non rimarrebbe più niente.
Categoria: ARTE SHOCK
UN TESCHIO DI DIAMANTI
È intitolata “For the Love of God” l’opera di Hirst, a seguito dell’esclamazione di sua madre alla vista dll’opera. Si tratta infatti della copia di un teschio dell’Ottocento circa, interamente ricoperto da diamanti (8601 per la precisione), a cui se ne aggiunge uno più grande a forma di goccia rovesciata di 52,40 carati posto sulla fronte. Il tutto è completato dai denti umani appartenenti al teschio originale. L’opera, venduta a 50 milioni di sterline, per un periodo è stata la più costosa di sempre. Con questo teschio Hirst simboleggia la decadenza della vita umana, opposta al diamante, il minerale più resistente in natura che simboleggia l’eternità. Dà speranza, ma al tempo stesso crea consapevolezza. Personalmente mi ricorda lo scheletro d’argento snodabile del Satyricon di Petronio, che il liberto Trimalchione espone durante il suo banchetto, per ricordare ai convitati e soprattutto a sé stesso cosa si diventerà dopo la morte, che la vita ha un termine, perciò andrebbe vissuta e goduta appieno.
Le porte viventi del museo
È questa l’intenzione con cui nasce l’opera di Marina Abramovic, intitolata Imponderabilia. Consiste in due persone nude, un uomo e una donna in carne ed ossa, posti uno di fronte all’altra a qualche decina di centimetri. Così il visitatore è obbligato a passarvi in mezzo lateralmente, scegliendo se dando la schiena all’uomo o alla donna. Questa condotta è determinata da un elemento imponderabile (ossia la cui natura ed entità sfuggono ad una valutazione precisa), richiamato dal titolo. Questa performance fu attuata per la prima volta nel 1977 alla Galleria d’Arte Moderna di Bologna e durò solo 90 minuti, poiché interrotta dalla polizia per oscenità. Venne riproposta nel 2010 al MoMA di New York, questa volta senza suscitare scandalo, ma anzi i due soggetti subirono molestie.
L’autolesionismo come arte
Tra gli artisti di body art la francese Gina Pane si distingue per le sue opere contenenti autolesionismo. In particolare Psyche, una performance di 27 minuti e 32 secondi, di cui vi è una serie di fotografie, in cui l’artista si pratica con le lamette dei tagli a forma di croce intorno all’ombelico e appena sotto le sopracciglia. Nelle foto è ben visibile il sangue, simbolo di dolore, l’esperienza umana maggiormente percepibile secondo Pane, resa in maniera molto diretta tramite queste ferite, che lasceranno cicatrici, definite dall’arista come la “memoria del corpo”. Inoltre, per rendere l’esperienza più intensamente, Pane crea un contrasto indossando vestiti bianchi. L’artista afferma che “il corpo è occupato e formato dalla società” per questo bisogna scriverci sopra e contrastare il ruolo passivo della donna in una società maschilista.
Merda d’artista (1961)
È proprio questo il titolo dell’opera di Piero Manzoni, molto nota per la sua originalità e lo stupore che suscita. Ebbene, come possono degli escrementi in scatola essere non solo considerati arte, ma anche conservati in diversi musei del mondo, tra cui il Tate Modern di Londra? La risposta è proprio davanti a noi e insita nella nostra società: qualsiasi cosa ormai può essere considerata arte, basta che vi sia la firma dell’artista, che qui ironicamente aggiunge anche il numero progressivo di serie da 1 a 90, l’anno, il peso e l’entità del contenuto e come conservarlo al meglio. Si tratta di una provocazione per denunciare la mercificazione dell’arte, a cui basta una sola firma che attesti l’originalità dell’opera e quindi il valore. Sempre nel 1961, Manzoni ha riaffrontato il concetto con “Opere d’arte viventi”, ossia due modelle nude su cui ha posto la sua firma. Così il corpo, sebbene sia materia viva, viene ridotto a semplice oggetto grazie alla firma a cui si riduce l’atto artistico.